Dove va l’uomo superbo e disobbediente?

Era il mese di Settembre 2004 quando il cardinale Ratzinger, invitato a prendere la parola al Senato italiano dal presidente Marcello Pera, indicava profeticamente il cammino nel quale la nostra società si era inoltrata: «C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro».

Questo odio lo vediamo crescere giorno dopo giorno a partire dalle università americane che si rifiutano di studiare i classici, continua nell’abbattere le statue di personaggi rilevanti del passato, nel riscrivere storie considerate non in linea con il politicamente corretto, nel rifiuto della storia del proprio Paese che, inevitabilmente, contiene sempre eroismi e tradimenti. E ancora nel crescere di un razzismo dell’antirazzismo per cui occorre mettere in scena un James Bond interpretato da un attore di colore o meglio ancora, da una attrice. Così siamo arrivati al punto che famosi cartoni animati della Disney, come gli “Aristogatti” o “Dumbo” vengono considerati discriminatori e vanno quindi visionati solo preceduti da una spiegazione che metta in guardia dai suoi contenuti!.

È stata definita “cancel culture” questa nuova ideologia che, dalle università americane, ha già investito i media di quel Paese ed è anche ben rappresentata alla Casa Bianca dalla nuova vicepresidente; da lì ha raggiunto e contagiato le università inglesi in cui fin dai tempi di Chesterton (basta leggere il suo “Un Uomo vivo”) si coltivano inclinazioni per ogni teoria per quanto assurda o antiumana e si appresta a sbarcare nel continente europeo dove ha già agguerriti cultori.

Si tratta di una vera e propria ideologia perché – come tutte quelle che hanno insanguinato il secolo scorso – ha la pretesa di imporre una concezione dell’uomo, un “uomo nuovo”, obbiettivo per il quale utilizza non più la violenza delle armi o dei lager/gulag, ma quella più subdola della cultura politicamente corretta con il supporto dei media più pervasivi.

Al cuore dell’ideologia c’è l’eterna tentazione: fin dalla Genesi abbiamo imparato quale fosse la tentazione più grande portata alla libertà dell’uomo. Così il serpente provoca Eva: «Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Genesi 3, 4-5)

Gli strumenti, la cultura, le possibilità offerte dalla scienza e dalla tecnologia di cui l’uomo moderno dispone, hanno portato a questa Hybris, questa “superbia e disobbedienza” come veniva spiegato ai miei tempi il peccato dei progenitori, con cui si vuole affrontare il tempo presente e le sue sfide.

Così l’occidente ha messo da parte la questione di Dio, per sostituirlo con il proprio potere, il proprio desiderio. «Dio se c’è non c’entra. Dio non c’entra con l’uomo concreto, con i suoi interessi, i suoi problemi, ambito in cui l’uomo è misura a se stesso, signore di se stesso, sorgente e dell’immaginazione del progetto e dell’energia concreta per la sua realizzazione» (Giussani, “Il senso di Dio e l’uomo moderno”). L’uomo che si fa dio rifiuta il Dio che si fa uomo e compagno di strada nel dramma della vita.

C’è un’acuta riflessione del filosofo Robert Spaemann che viene a proposito: «È un errore che perdura nel nostro tempo credere che si possa abbandonare una visione religiosa della realtà senza perdere anche qualcos’altro, qualcosa a cui non saremmo molto disposti a rinunciare». L’osservazione è all’interno di una riflessione sul concetto di dignità dell’uomo che, per il filosofo, «è un segno di sacralità, un concetto fondamentalmente religioso e metafisico».

Rimuovere dagli studi la tradizione classica occidentale, la filosofia dei greci, la narrazione epica, comica o favolistica che sta all’origine della nostra cultura così come il diritto romano e la sapienza biblica: vedere nelle grandi imprese di scoperta ed esplorazioni nient’altro che violenza o oppressione di popolazioni considerate idealmente pure, non aiuta ad apprezzare il valore della propria identità e cultura e impedisce di guardare con serenità anche agli errori e alle colpe presenti nella propria storia.

Il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo allora capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita ‘veluti si Deus daretur’, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno.

È questa la provocazione che Ratzinger fece a Subiaco, nel suo ultimo discorso prima di essere eletto papa e che mantiene, o forse addirittura accresce, la sua attualità.

La sfida alla pervasiva ideologia cui abbiamo accennato va raccolta da chi sa opporle una visione dell’uomo che apre alla speranza di una vita piena e all’immortalità, quella vera e piena che solo la resurrezione di Cristo ci ha promesso.

«Se la musica del Vangelo smette di vibrare nelle nostre viscere, avremo perso la gioia che scaturisce dalla compassione, la tenerezza che nasce dalla fiducia, la capacità della riconciliazione che trova la sua fonte nel saperci sempre perdonati-inviati. Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna».(Francesco, Fratelli tutti, 277)

immagine crediti Avvenire

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